Lessico in forma di nido. Generazione (VII)

Parole per un manifesto impossibile

Infine la grande onda della pandemia – che i più ottimisti immaginano già come uno spartiacque, laddove rischia di essere, più semplicemente, un definitivo cambio di paradigma – s’infrange sulla generazione nel momento più delicato della vita attiva, nell’ora della decisione esistenziale, della fissazione definitiva dell’identità.

La paradossale psicologia di questo tipo antropologico è delineata, il ritratto prende le nostre forme. Sottopagato, dunque impotente; sopra-qualificato, dunque frustrato; iper-connesso, dunque distratto; analfabeta politico, dunque remissivo e fatalista; viziato, dunque inerme e afono, ma mediamente acculturato, dunque arrivista.

Qui le contraddizioni di due secoli si annodano e condannano questa generazione, per sua natura ancipite. Un piede nel Novecento e l’altro nel Duemila, si è trovata senza una terra da radicare, senza uno spazio da occupare. Tutto è già stato preso: si balla attorno al tavolo con rabbia educata per intercettare qualche briciola.

I modelli appresi e le ideologie assimilate, fabbricate da un Novecento che si credeva eterno, non trovano appiglio nel nuovo secolo, non producono attrito; lasciano la generazione orfana senza morire del tutto; gli promettono un’eredità che non potrà essere spesa.

Ironicamente, il futuro di questa generazione si giocherà nello spazio che la separa dai due secoli e nel modo in cui sceglierà di saldarli. Dovrà decidere se essere l’ultima del Novecento o la prima del Duemila. Dovrà capire se condannarsi al ricordo o alla preveggenza. Dovrà imparare a muoversi fra retroguardia e avanguardia, consapevole che in nessuna di queste trincee troverà asilo: la sua casa è la terra di nessuno.